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Il filo del rasoio
di W. Somerset Maugham

Per questa volta, cara lettrice e caro lettore, ci concediamo di promuovere a classico il libro di un autore del Novecento generalmente escluso dai canoni e snobbato persino dalle antologie di inglese dei licei (eppure George Orwell riconosceva in lui lo scrittore di cui più di ogni altro era debitore); lui stesso diceva di sé che il suo posto nella letteratura era “tra i primi della seconda fila” e non si faceva illusioni sulla durata della sua fama. Alla notizia della mia morte, disse, molti si chiederanno: “Ma non era già morto?” Però i suoi libri continuano a vivere, e così, secondo noi, il piacere di leggerli.

Nel corso di una vita avventurosa in cui viaggiò a lungo nelle colonie britanniche e operò anche come agente segreto per il governo inglese, W. Somerset Maugham (1874-1965) ha scritto romanzi memorabili come Il velo dipinto, Schiavo d'amore, La luna e sei soldi, di grande successo e a cui spesso il cinema ha attinto, e un grande numero di racconti.

Ne Il filo del rasoio (1944) l'autore racconta le vicende di Larry, un giovane americano di ritorno dalla Grande Guerra, durante la quale ha vissuto esperienze traumatiche che lo hanno profondamente segnato; conosciuto di persona dall'autore e poi perso di vista per lunghi periodi, Larry ha seguito un faticoso percorso verso la conoscenza di sé approdando, ben prima degli hippies degli anni 60 e 70, in India alla ricerca di una spiritualità e di una pace interiore che nella vita pur privilegiata di giovane occidentale non ha saputo trovare. Lo scarto tra il disinteresse di Larry e il materialismo e l'avidità del mondo che ha scelto di lasciarsi alle spalle si approfondiscono al punto che il contatto con gli amici e l'amore di un tempo diventano occasioni di incomprensione e di dolore, sfociando addirittura in tragedia. Lo sguardo disincantato e ironico  dello scrittore, testimone e partecipe degli avvenimenti, guida e orienta il lettore nel giudizio, senza forzature, con eleganza. 

….“era un ragazzo d'aspetto gradevole, né bello né brutto, piuttosto timido e senza niente di straordinario. Mi interessava il fatto che sebbene, a quanto rammentavo, non avesse detto mezza dozzina di parole da quando era entrato in casa, sembrava a suo agio e in un modo curioso partecipe della conversazione pur non aprendo bocca. Notai le sue mani: lunghe, ma non grandi per la sua statura, ben disegnate e al tempo stesso forti. Pensai che a un pittore sarebbe piaciuto dipingerle. Era esile di corporatura ma non pareva delicato... Aveva una grazia naturale che attraeva, e capivo che Isabel ne fosse innamorata. Di tanto in tanto il suo sguardo si posava su di lui, e mi pareva di vedervi un'espressione non solo d'amore ma di affettuosa sollecitudine. I loro occhi si incontravano  e in quelli di lui c'era una tenerezza bellissima a vedersi. Nulla è più commovente di un amore giovane e io, uomo allora di mezza età, li invidiavo e al tempo stesso, senza immaginare perché, li compiangevo.”

(Adelphi 2009, trad. Franco Salvatorelli)

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